Non è insolito che i pazienti arrivino nello studio del medico, se non addirittura al pronto soccorso, già provvisti di una diagnosi “fai-da-te” formulata in base a informazioni raccolte online. Secondo una ricerca, sembrerebbe che almeno il 72% degli adulti statunitensi utilizzi internet per trovare informazioni concernenti la salute, sia generiche che specifiche, legate a particolari patologie, mentre il 36% cerca informazioni per capire a cosa corrispondano eventuali sintomi. Inoltre, in questi mesi di pandemia le ricerche online sul tema della salute sono aumentate, sia per paura del contagio da Covid-19, sia per la difficoltà o spesso anche il timore di recarsi in uno studio medico o al pronto soccorso.
Del resto, viviamo in un mondo caratterizzato dalla costante accessibilità a un grande numero di informazioni in tempo reale, dall’abitudine a rivolgersi a internet per soddisfare qualsiasi curiosità e anche da un’allarmante carenza di fiducia negli esperti e nelle istituzioni rispetto al passato, da una diffusa mancanza di rispetto per le competenze reali e il tempo e il lavoro necessari per acquisirle.
Le informazioni online, tuttavia, non sono sempre affidabili: spesso sono incomplete, faziose, errate o persino fuorvianti. Possono portare il paziente a fare scelte che rischiano di danneggiare la sua salute, anziché migliorarla. Per questo motivo è importante che il medico sia consapevole che in media un paziente su due ha effettuato una o più ricerche online prima di consultare lo specialista e che questa consapevolezza si rifletta nel modo in cui decide di porsi nei confronti dei suoi pazienti.
Proprio perché si trova spesso davanti un paziente “informato” (o “disinformato” in molti casi), è ancora più importante che il medico dedichi tempo ed energie al dialogo con il paziente. Solo una figura esperta e autorevole, infatti, può capire se l’informazione che il paziente ha trovato e assimilato è utile, inutile o controproducente; solo il medico può aiutare a dare un senso all’enorme volume di informazioni che rischiano di confondere o sopraffare il suo assistito. A che cosa si deve fare attenzione in questo dialogo? In parte le indicazioni sono simili a quelle che abbiamo suggerito nell’approfondimento dedicato a come comunicare efficacemente con il paziente, ma con un’attenzione particolare alla situazione specifica e all’interlocutore che si ha di fronte:
C’è un aspetto negativo della ricerca di informazioni in rete che tuttavia non si può sottovalutare ed è la grande quantità di contenuto ingannevole o, nel migliore dei casi, incompleto, spesso impacchettato e strutturato in maniera tale da raggiungere il maggior numero di persone ed essere particolarmente convincente, perfino più convincente del contenuto reale. Probabilmente perché il contenuto "ingannevole" è spesso una di quelle che vengono chiamate “bugie confortevoli”, mentre il contenuto reale è una “verità sconveniente”. Ovvero questa bugia soddisfa il nostro confirmation bias, l’atteggiamento che ci vede scegliere le informazioni che si conformano al nostro modo di pensare e confermano ciò di cui eravamo già convinti; la verità sconveniente, invece, è solitamente un'informazione che in qualche modo scardina il nostro modo di vedere, implica scomodi cambiamenti nelle nostre abitudini e intacca la nostra sfera di valori e di emozioni.
Proprio perché queste bugie confortevoli sono facilmente virali e colonizzano il web - siti, forum, social media - è ancora più importante che, come detto, dall’altra parte dello schermo ci sia un esperto. Sarebbe opportuno, dunque, che i medici, ma anche altri professionisti sanitari, cominciassero a popolare questi luoghi virtuali con contenuti in grado di toccare le giuste corde dei pazienti e a utilizzarli in modo da contrastare la diffusione di informazioni scorrette o di vere e proprie fake news. Sarebbe infatti un errore non presidiare questi spazi di conoscenza tanto frequentati dai pazienti. Pazienti che, per quanto avvezzi a cercare risposte in rete, sembrano essere consapevoli dei rischi del web: in particolare, si rendono conto che l’affidabilità delle informazioni è spesso incerta, che per trovare informazioni autorevoli servono tempo e competenze. O forse anche solo una guida, come quella del medico del quale si fidano.
FONTI