In questo approfondimento vogliamo proporvi un breve e certamente non esaustivo excursus sul panorama artistico occidentale, soffermandoci su alcuni quadri significativi che riassumono la storia della medicina.
La nostra mostra virtuale inizia dal medioevo dove, accanto a studiosi e scienziati veri e propri, si incontrano sedicenti chirurghi, solitamente ciarlatani: tra i più celebri quello immortalato nell’Estrazione della pietra della follia (1494 circa) di Hieronymus Bosch. Simili personaggi trovano terreno fertile nella superstizione diffusa tra gli strati sociali più umili e perpetrano pratiche bizzarre e del tutto inutili.
A partire dall’Umanesimo e soprattutto con il Rinascimento, l’interesse anche artistico nei confronti della medicina si sposta verso l’ambito scientifico vero e proprio. A tal proposito, il dipinto forse più noto di questa nostra rassegna è La lezione di anatomia del dottor Tulp (1632) di Rembrandt, che testimonia il grande fervore scientifico del XXVII secolo, ben esemplificato dalle lezioni di anatomia su cadaveri; a questi eventi presenziavano medici ma anche semplici curiosi, e non di rado venivano invitati artisti a ritrarre la scena. Tuttavia, questo interesse per l’anatomia è evidente già nei secoli precedenti, basti pensare alle numerose illustrazioni di Leonardo da Vinci, come ad esempio I muscoli della spalla e del braccio e le ossa del piede (1510 circa), frutto di uno studio approfondito della fisiologia umana.
Nel Seicento l’arte spiega chiaramente come la medicina scientifica e accademica sia altra cosa rispetto alla medicina pratica: nel ruolo di chirurghi e dentisti improvvisati troviamo, infatti, modesti e versatili barbieri, che operano su un tavolaccio da osteria, con attrezzi da lavoro logori e sono circondati spesso da una folla di curiosi. Testimonianze di questo tipo si trovano in numerosi dipinti: Il cavadenti (1609) attribuito a Caravaggio mostra l’estrazione di un dente, Sutura di una ferita minore presso un barbiere (1650 circa) di Gerrit Ludens racconta di un piccolo intervento chirurgico così come Intervento podologico (1663) di David Teniers.
Balziamo ora alla fine dell’Ottocento: nel 1894 Gustav Klimt ricevette l’incarico dall’Università di Vienna di realizzare alcune allegorie delle scienze insegnate nell’ateneo, una delle quali intitolata proprio Medicina. La tela, distrutta nell’incendio del castello di Immendorf nel 1945, rappresenta sullo sfondo una moltitudine quasi indistinguibile di uomini, donne e bambini nudi, ritorti e sofferenti, che copre tutte le fasi di vita dalla nascita alla morte; in primo piano Igea, la dea della salute, simbolo del progresso della scienza, ma quasi glaciale e indifferente al dramma umano che si sta svolgendo alle sue spalle.
Pochi anni dopo, nel 1897, un adolescente Pablo Picasso realizzò un dipinto ad olio dal titolo Scienza e Carità, in cui è raffigurato un medico al capezzale di una paziente, accudita da una suora che tiene in braccio un bambino. Il gioco di chiaroscuri pone enfasi sulla malata e sul suo volto sofferente, facendo risaltare anche il profondo legame tra medico e paziente: il dottore è accomodato su una sedia a fianco del letto e conta i battiti del cuore stringendo il polso della donna. Vicinanza, empatia e compassione rappresentano in quest’opera elementi imprescindibili e concomitanti della medicina moderna, in cui al centro è appunto il paziente.
Una visione radicalmente ribaltata rispetto ad un’opera di poco precedente, Il Dottore (1891) di Luke Fildes, in cui alcuni critici hanno notato un’enfasi sulla figura del medico, ripresa chiaramente anche dal titolo; in Fildes, come in Picasso, è tuttavia evidente la sofferenza umana incarnata nei genitori del piccolo paziente e la scena è ambientata in uno spazio intimo, familiare, a sottolineare come la medicina riguardi l’esistenza di tutti, anche i più umili.
Spostandoci più avanti nel Novecento, la provocazione è ricorrente nella variegata produzione dell’inglese Damien Hirst, fin da ragazzo interessato al tema della morte, come dimostrano le frequentazioni dell’obitorio di Leeds e l’ossessione per la tassidermia. Hirst propone un’epica della decomposizione, come la definisce la critica, ovvero insiste su rappresentazioni della morte in tutte le sue forme, anche piuttosto macabre e disturbanti, come per esempio A Thousand Years (1990) o la serie Biopsy Paintings (2006-2008). A queste visioni “nude e crude” l’artista affianca una serie di opere iperrealistiche e persino pop, in cui utilizza confezioni di medicinali e pillole come elementi decorativi, sublimati nelle serie Medicine Cabinets e Pill Cabinets. La medicina, dunque, diventa oggetto industriale e di consumo, materiale artistico e addirittura ispirazione.
La nostra indagine artistica si conclude con una manipolazione visiva realizzata nel 2013 dal poliedrico artista marocchino Mounir Fatmi, intitolata Blinding Light, ovvero luce accecante; l’autore parte da una celebre opera, la Guarigione del Diacono Giustiniano (1438-40) del Beato Angelico e la contestualizza nella nostra contemporaneità, fondendola con fotografie di sale operatorie odierne. Nella tempera originale i due santi Cosma e Damiano, medici per eccellenza, stanno innestando a mani nude una gamba di colore al posto di un arto malato; Fatmi aggiunge un tavolo operatorio, lampade al neon, una professionista in camice, mascherina, guanti e cuffia monouso, mantenendo al centro il contatto medico-paziente e la dimensione umana della chirurgia, e costruendo intorno a questo nucleo pulsante un ambiente asettico e ipertecnologico, a testimonianza di quello che può oggi la medicina, con la combinazione armonica delle capacità umane e del progresso tecnico-scientifico.