Curare in base al genere

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La medicina di genere in Italia

La medicina oggi ha come cardine il concetto di centralità del paziente e l’obiettivo di promuovere una sempre maggiore personalizzazione delle cure. Non stupisce, quindi, l’estrema importanza che stanno assumendo in questa prospettiva le differenze di genere, dunque la consapevolezza delle diversità tra uomo e donna, socialmente e storicamente determinate.
Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il termine “genere” indica le caratteristiche costruite a livello sociale, ovvero comportamenti, norme e ruoli associati all’essere donna, uomo, ragazza o ragazzo, che dipendono dalla società e dal momento storico, e che possono produrre disuguaglianze e discriminazioni.
Il genere, quindi, è legato al modo in cui un individuo si sente e viene percepito dagli altri: dipende perciò dal sesso come dato biologico e fisiologico, ma allo stesso tempo è qualcosa di distinto da esso.

Il genere può determinare differenze significative nell’accesso ai servizi sanitari, nell’atteggiamento nei confronti della malattia, nella percezione stessa del dolore, nei comportamenti e negli stili di vita, e influire così sulla salute dei pazienti. Pensiamo per esempio alle pratiche come la mutilazione genitale femminile o le gravidanze precoci, ma anche ad abitudini dannose come il fumo o il consumo di alcol, cui spesso si ricorre per sottolineare la propria mascolinità. Non sempre sono le donne ad essere svantaggiate nell’accesso ai servizi sanitari, anche se in molte parti del mondo e in alcuni contesti particolari questo svantaggio è evidente. Per esempio, un aspetto a lungo trascurato è stato quello della salute emotiva maschile, anche se in Occidente l’ideazione di comportamenti suicidari e il numero stesso dei suicidi hanno un’incidenza maggiore tra gli uomini rispetto alle donne.

Altro dato molto interessante, messo in luce da una relazione dell’Università di Sassari sulla farmacologia di genere, è il fatto che le donne sono le principali consumatrici di farmaci, sia perché sono più numerose nella popolazione anziana, sia perché si ammalano di più nonostante la loro aspettativa di vita sia più lunga (l’Agenzia Italiana del Farmaco parla in proposito di un vero e proprio “paradosso donna”), ma anche perché sono più consapevoli e attente al proprio stato di salute. Eppure, per molto tempo le donne sono state sottorappresentate nella sperimentazione farmacologica, poiché si è preferito arruolare soprattutto uomini e, di conseguenza, si è continuato ad assimilare i generi, senza distinguere tra le caratteristiche specifiche di ciascuno; questo errore, noto come “gender blindness” o cecità di genere, sembra ridurre tutta la complessa rete di differenze tra uomo e donna alla semplice distinzione del ciclo riproduttivo e del peso corporeo.

Ignorare le differenze e pretendere una neutralità del genere rappresenta un bias, un errore cognitivo sistematico, che distorce la realtà: di questo pregiudizio parla esplicitamente la Dichiarazione della Commissione per l’Etica della Ricerca e la Bioetica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), auspicando «un cambiamento che non riguardi soltanto la prassi clinica e le politiche per l’equità nelle cure, quanto piuttosto l’approccio metodologico stesso della ricerca scientifica, a partire dagli studi diretti a valutare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci». Nella farmacologia di genere si sottolinea allora la necessità di mettere in evidenza le differenze di efficacia e di sicurezza dei farmaci rispetto al genere del paziente.

La medicina dovrebbe, più in generale, considerare l’influenza delle differenze di genere sullo stato di salute e malattia di ogni individuo, per promuovere e garantire un approccio davvero personalizzato e mirato: si parla in proposito di medicina di genere, una branca della medicina che tiene conto, nella diagnosi e nella cura, delle caratteristiche biologiche, sociali e culturali dei pazienti.

L’Italia, in questa prospettiva, è uno dei Paesi più all’avanguardia, come ha fatto notare anche la Prof.ssa Giovannella Baggio dell’Università degli Studi di Padova, dichiarando, nel corso del primo convegno del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che «l’Italia è un paese orgogliosamente modello: da quando nel 2006 abbiamo iniziato a parlare di medicina di genere si sono creati molti focolai di interesse differenziati: associazioni femminili, reparti ospedalieri, centri, associazioni, istituzioni».

Con l’obiettivo di diffondere la medicina di genere e realizzare una collaborazione sinergica a livello nazionale è stato predisposto il Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere, mediante decreto firmato nel 2019 dal Ministro della Salute On. Giulia Grillo. Tale Piano prevede un approccio interdisciplinare orientato al genere, la promozione della ricerca biomedica, farmacologica e psico-sociale basate su questo tipo di differenze, la formazione del personale medico e sanitario in questo ambito e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e promozione dell’informazione sulle differenze sesso-genere specifiche in materia di salute. A supervisionare questi interventi è un apposito centro di riferimento costituito presso l’Istituto Superiore di Sanità.

FONTI

Pubblicato

March 15, 2023